Un Giorno Ancora by Enzo Biagi

Un Giorno Ancora by Enzo Biagi

autore:Enzo Biagi [Biagi, Enzo]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Rizzoli
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


Ritornano certe domeniche, la solitudine delle lunghe giornate: non conosci nessuno, non sai dove andare.

Maledetta domenica a Copenaghen: ero ancora in cura per alcuni guai a un polmone e dovevo cercare un medico che pompasse aria in quelle pleure. C’era nebbia, e mi sentivo solo.

Tacevano anche le musiche del Tivoli, il grande parco dei divertimenti con le giostre, l’ottovolante, la galleria degli spettri.

Triste domenica a New York: capivo quel disperato personaggio di Saul Bellow che telefonava alla polizia: «Venite, prendetemi, fatemi sentire che sono vivo».

Anche la «cafeteria» del St. Moritz, con la cameriera piemontese, era chiusa; la mia finestra guardava su Central Park: due carrozzelle immobili, i cavalli dormivano nel torpido pomeriggio, sulla Quinta Strada nessuno.

Aspetto Saverio Turiello - Savy, come lo chiamano qui -: dice che ha qualcosa da farmi vedere e che ha bisogno di un consiglio. Immagino: ogni volta parla del ristorante che sta per riaprire. Cucina paesana. «Che cosa ne dici dell’idea di decorare le pareti con le fotografie dei giornalisti italiani che stanno in America?»

Siamo amici da anni. Io lo chiamo «Il Grande Bambino» e anche Margherita, la moglie, è d’accordo. Conosce tutti i guai del mondo, ma non lo hanno sporcato, picchia pulito. È stato sul ring trecento sere, due volte campione d’Europa, fu battuto da Marcel Cerdan, l’amante di Edith Piaf.

C’era una palestra al 146 West, piena di ragazzi neri che si ungevano, saltavano, se le davano, e lì si allenava anche Emil Griffith.

Ci andai con Saverio e tutti gli dicevano: «Hello champ», gli facevano festa, e al vecchio manager dal cappotto consumato, cappello perennemente in testa, che continuava a dar consigli che nessuno chiedeva, Savy metteva sempre in mano qualche dollaro: «Salute, Sam, vai a bere un goccio di scotch».

«Era una cannonata,» spiegava «ma adesso è finito.»

Per Saverio tutti lo erano: il duca di Windsor, suo cliente quando era padrone del Piccolo Club, John Kennedy, Sinatra, il tenore Di Stefano, Frank Costello, Marilyn, Hemingway e Anna Maria Pierangeli: «Una cannonata, povera bambina, sempre il bicchiere in mano, senza gusto. L’hanno lasciata troppo sola».

‒ E Sinatra?

«Francesco? Grande, buono, generoso. Cannonata davvero.»

‒ Mi piacerebbe fare due chiacchiere con Frank Costello - dicevo. Era un composto, distinto signore di Cosa Nostra.

«Non fare mai nomi. Cercherò di combinare quell’incontro al vertice, ma non è il momento migliore.»

Da quarant’anni Saverio stava laggiù. Quando arrivò era un bel giovanotto: sapeva fare a pugni e voleva guadagnare soldi, piaceva alle donne e agli organizzatori, poi venne la guerra. Sfiorò la fortuna, ma non si lamentava.

«Venivo dall’Italia, nel ‘39» raccontava. «Combattei con Cerdan a Milano. Dissi a Bruno: «Fai venire tuo padre».»

‒ Bruno chi?

«Mussolini. Niente: mi mandò Starace. L’arbitro mi dichiarò sconfitto ma, credimi, non era vero. Quella volta avevo vinto io.

«Son partito per l’America e alloggiai proprio in questo albergo. Al mattino presto andavo al parco a far fiato. C’era anche Primo Carnera. Era tanto grosso che per fare la doccia doveva stare seduto. Non ti dico che impresa trovargli un’amica. Soffriva di una avarizia schifosa.

«Abbiamo fatto la nostra per difenderci, ecco tutto.



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